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Tsunami Map

Distribuzione degli tsunami nel mondo

Tsunami Alaska 1964

Effetti prodotti dallo tsunami dell’Alaska (1964) a Kodiak (Alaska). Le barche nella foto sono state trasportate in città dalle onde, a qualche decina di metri dalla costa.

Banda Aceh prima e dopo

Immagine da satellite che mostra la regione di Banda Aceh prima e dopo lo tsunami.

La maggior parte degli tsunami (circa l’80% del totale) è generata da forti terremoti sottomarini; in misura minore da eruzioni vulcaniche e da frane. Le zone del mondo in cui gli tsunami si generano più frequentemente e con maggiore intensità sono quelle dove i movimenti geologici sono più intensi, e cioè ai margini delle placche tettoniche, dove sono frequenti sia i terremoti che le eruzioni vulcaniche.

L’area maggiormente interessata da questi fenomeni è quella dell’Oceano Pacifico, dove la maggior parte degli eventi si concentra lungo la “cintura circumpacifica” (Pacific rim), conosciuta anche come “anello di fuoco” per via della presenza di ben 452 vulcani attivi o dormienti, alcuni dei quali tra i più grandi del mondo, come il Saint Helens in USA, il Popocatepetl in Messico, il Cotopaxi in Ecuador e il Monte Fuji in Giappone, per citare solo i più noti. Lungo questo anello, lungo quasi 40.000 km, ben otto placche tettoniche si incontrano con la grande placca del Pacifico, quella di Nazca e quella di Cocos.

Altre aree sismiche e vulcaniche molto attive sono quelle localizzate nell’Oceano Indiano, lungo la fossa di Sonda (Sunda Trench), e l’area che delimita la placca australiana e la placca del Pacifico, tra Papua e le isole Salomone.

Maremoti, sia distruttivi che di minore entità, avvengono anche nell’Oceano Atlantico e nel Mar Mediterraneo. È stato stimato che il 14% degli tsunami storicamente documentati sia avvenuto proprio in quest’area, in cui la placca Africana e quella Europea si scontrano.

Uno dei quattro Intergovernmental Coordination Groups dell’UNESCO-IOC si occupa proprio dell’Atlantico nord-orientale e nel Mediterraneo (NEAMTWS).

I cinque più forti terremoti avvenuti nel corso degli ultimi cento anni hanno generato altrettanti tsunami distruttivi, quattro dei quali sono avvenuti lungo l’anello di fuoco del Pacifico (in Cile, in Giappone e in Alaska), con la sola eccezione dello tsunami di Sumatra del 2004, che ha invece colpito l’Oceano Indiano.

Il 22 maggio 1960 in Cile avvenne il più forte terremoto del XX secolo, conosciuto come terremoto di Valdivia (Magnitudo 9.5), seguito da un violento maremoto con onde alte 15-20 metri sulle coste vicine all’epicentro. Lo tsunami raggiunse le Hawaii circa 15 ore dopo, con onde che localmente hanno superato i 10 metri. Dopo circa 22 ore anche le coste del Giappone (a circa 10.000 km di distanza) furono investite dallo tsunami con onde alte fino a 6 metri.

Il 27 marzo 1964 in Alaska un terremoto di magnitudo 9.2 produsse un violento tsunami con onde che anche in questo caso si propagarono sino alle Hawaii. L’onda si propagò lungo tutte le coste americane del Pacifico e in California, colpendole con altezze comprese tra i 2 e i 6 metri.

Il 26 dicembre 2004 un sisma di magnitudo 9.1 a largo di Sumatra ha originato il più distruttivo tsunami del secolo, sia come effetti prodotti che come area interessata. Nessun altro maremoto conosciuto del passato ha provocato tante vittime (quasi 230.000, secondo le stime ufficiali dell’UNESCO) e danni in così tante aree del mondo. Le onde hanno investito oltre all’Indonesia tutti gli stati dell’Oceano Indiano, causando danni anche in Somalia, Kenya, Tanzania, Madagascar, Mozambico, Mauritius, Sud Africa e Australia. Lo tsunami ha attraversato l’Oceano Atlantico e il Pacifico ed è stato anche rilevato, più debolmente, in Nuova Zelanda, Antartide e lungo le coste dell’America del Sud e del Nord.

Nel 2011 un terremoto di magnitudo 9.1, con epicentro a circa 70 km dalla costa nord orientale dell’Isola di Honshu, in Giappone, ha generato uno tsunami con onde che hanno raggiunto e superato l’altezza di 40 metri nella prefettura di Iwate e in quella di Miyagi, con un’ingressione di quasi sei chilometri a Sendai. L’onda si è propagata per tutto il Pacifico, raggiungendo l’Alaska, le isole Hawaii, le coste del Nord e Centro America e il Cile. Sulle coste cilene, a 17.000 km di distanza lo tsunami era alto ben 2 metri all’arrivo sulle coste. Il numero ufficiale delle vittime dell’evento, gran parte delle quali legate proprio allo tsunami, è stato di 15.704 persone.

Il quinto grande terremoto degli ultimi cento anni si è verificato al largo della penisola della Kamchakta, sulle coste pacifiche dell’attuale federazione Russa, vicino all’isola di Paramushir, non distante dalla città di Petropavlosk. Il sisma, di magnitudo 9.0, ha generato onde che localmente sono arrivate a 18 metri, causando ingenti danni alla penisola di Kamchatka e alle isole Kurili, specialmente nella città di Severo – Kurilsk, causando un numero di vittime stimato in circa 10.000-15.000, a fronte dei 2336 civili dispersi secondo i documenti ufficiali disponibili. Su questo tsunami le informazioni scientifiche disponibili sono pochissime e sono rimaste segrete fino agli anni ’90 del XX secolo. Nell’Unione Sovietica dell'epoca era pratica corrente tenere segreti i disastri naturali o tecnologici: la maggior parte delle informazioni sull’evento sono state infatti classificate come segrete o segretissime, e le prime notizie furono pubblicate soltanto tra il 1957 e il 1959. Questo alone di segretezza ha generato molte leggende sullo tsunami delle isole orientali, che ancora oggi viene definito come lo tsunami silenzioso o come lo tsunami segreto.

Un primo modello della pericolosità da tsunami di origine sismica (S-PTHA) è stato pubblicato da Hayes et al. nel 2018.